di Ilaria Verunelli

Since November she is the Head of Italian Fiction for Rizzoli Libri, one of the most important Italian publishing houses.  For more than a decade, Gemma Trevisani has been working as an editor, the most beautiful job in the world, according to her.  “I think that the paper book will never disappear. It is and it will remain a smart object. It is something you cannot break. It never runs out of juice”. 

Here you find my interview.

August 30 2021 

Reading time: 10 min

If you want to read the interview to Gemma Trevisani in English, you can find it here.

di Ilaria Verunelli

Il libro è ed è destinato a rimanere un oggetto geniale. Lo dice quasi immobile, come un ritratto d’altri tempi contro la parete bianca. Linguaggio forbito, riflessiva, le sue risposte si fanno aspettare a volte lunghi secondi dietro le domande. Abbraccia la modernità, non le mode, Gemma Trevisani. Così, ai profeti dell’ebook, risponde monolitica: “Io credo che il libro cartaceo non tramonterà mai. Non si rompe, non si scarica. Certo, avere un’intera libreria in un unico dispositivo è impagabile. Eppure, quando facevo scouting di libri per ragazzi mi stupiva scoprire che anche le nuove generazioni preferiscono il libro cartaceo. In fondo, tutto il resto passa attraverso schermi. Quindi, se il libro può restare una cosa diversa, che ci resti”. Parola di chi, da un decennio almeno, legge “mallopponi di fogli stampati”. Gemma Trevisani ha cominciato da universitaria facendo “il mestiere più bello del mondo”, quello di editor. Dallo scorso novembre ha assunto il ruolo di responsabile della Narrativa Italiana per Rizzoli, una delle principali case editrici italiane.

Gemma, come comincia la tua carriera nel settore dell’editoria?

Ho iniziato da lettrice, dentro Rizzoli. Stavo ancora studiando. Ho fatto proprio la tipica gavetta editoriale: da lettrice a stagista, da junior editor a editor. Da lettrice, tendenzialmente ti capita di leggere ciò che non verrà pubblicato. Molto raramente si trovano perle in mezzo alle tante proposte. Lavoravo per Michele Rossi, allora era editor. Sarebbe poi diventato responsabile della Narrativa Italiana. Adesso ho preso il suo posto. Per me che ho cominciato dentro Rizzoli, esserci tornata in questo ruolo è un bellissimo cerchio che si chiude.

Il rientro in Rizzoli passa anche da una tua esperienza professionale a New York. Hai voglia di raccontarcela?

A New York ho cominciato con un tirocinio per poi diventare scout nell’agenzia di scouting letterario Maria B. Campbell. È tra le maggiori in questo ambito, se non la maggiore. Si tratta di una parte dell’editoria poco conosciuta, ma in realtà importantissima. Leggevamo i libri al momento in cui l’agente letterario li sottoponeva agli editor americani, cioè con larghissimo anticipo, di solito prima della pubblicazione e quasi prima dell’acquisizione in America. In quel momento lo scout, un po’ con il suo gusto, si deve dire: sì, questo è buono; oppure no, non è buono. Ma se è buono potrà funzionare in Italia? In quel ruolo, devi avere un occhio sul panorama internazionale e renderti conto, secondo la tua sensibilità, se un testo è molto americano o se invece può viaggiare anche all’estero.

Come si decide invece se un romanzo italiano può avere successo un mercato estero come quello americano?

Questo è un aspetto chiave. Gli anglosassoni hanno meno offerta a livello di testi tradotti, anche se sembra paradossale perché è un numero di lettori gigantesco. Adesso cominciano ad esserci editori americani che prendono scout per avere un occhio anche sui libri internazionali.  Se l’editor è capace di leggere il libro in lingua originale, il processo di acquisizione funziona molto meglio; se invece deve aspettare che l’agente letterario ne traduca una parte, che di quella parte ci si innamori e che poi venga letto completamente, è tutta un’altra cosa. Gli scout stessi spingono tanto perché ci sia questa comunità mondiale di lettori. Altrimenti, effettivamente, si perde un patrimonio di lingue e letterature. Ed è un vero peccato.

Perché, secondo te, c’è questa diversa sensibilità oggi?

Secondo me, per alcuni casi editoriali più che altro. Ti faccio il nome di Ferrante perché, almeno sull’Italia e sugli autori italiani, ha davvero spalancato un mondo. Adesso c’è molta più curiosità rispetto a prima.

Ci faresti una panoramica della Narrativa Italiana oggi dal punto di vista di Rizzoli?

Ci sono due fenomeni che trovo molto interessanti. Da un lato, con la pandemia, c’è una voglia di ambientazione non contemporanea. Credo che questa tendenza sia destinata a rimanere, forse perché la nostra contemporaneità è stata completamente capovolta, quindi guardarsi indietro non è male. D’altro lato, sicuramente, c’è da qualche anno un impatto sulla narrativa di altre forme di intrattenimento. In chiave popolare, devi effettivamente dare al lettore qualcosa che la serie TV non può dare. Riuscire a mescolare in giuste dosi azione, introspezione, descrizioni è un’arte e una tecnica non da tutti; solo i grandi narratori popolari lo sanno fare. Penso a Maurizio De Giovanni che riesce in questo grande affresco, dove, oltre alla risoluzione del caso, ci sono la commedia di personaggi e la tonalità su più registri narrativi. Oppure a Stefania Auci. Lei ha raccontato la storia di una famiglia siciliana, i Florio. È una saga che attraversa parte dell’Ottocento e del Novecento, con dei numeri di vendita che non si vedevano da tempo. Il caso Auci fa vedere come ci sia tanta curiosità verso il romanzo di ambientazione storica, però con personaggi molto appassionanti da serie TV.
Accanto a questi fenomeni editoriali, ci sono poi i grandi maestri della letteratura che stanno ancora producendo ottimi romanzi, come Walter Siti e Michele Mari, ed autori davvero ormai consolidati. Per esempio, a me il libro del Premio Strega 2021, “Due Vite” di Emanuele Trevi, è piaciuto tantissimo. È davvero scritto in uno stato di grazia.

A che punto è l’editoria digitale in Italia?

Posso dire che il grande exploit che doveva esserci qualche anno fa non c’è in realtà mai stato. Questo vale anche per il mondo anglosassone: l’idea che l’ebook avrebbe sostituito il libro cartaceo non si è mai avverata. Anche in paesi come gli Stati Uniti in cui gli ebook hanno davvero una buona fetta di mercato, ci aggiriamo intorno al 25%. In Italia eravamo attorno al 4-5%. Con la pandemia si è guadagnato qualche punto, nel momento in cui sono state chiuse le librerie.
Se invece guardiamo alla distribuzione, il fenomeno Amazon è un grande cambiamento che soprattutto gli editori, ma anche i lettori non possono ignorare.

Tra le prossime uscite Rizzoli, c’è qualcosa che vuoi consigliare?

Vi consiglio caldamente un romanzo che vive al confine con la saggistica. È stato scritto da Michela Marzano, filosofa ed insegnante a Parigi. Il titolo, non ancora definitivo, dovrebbe essere “La stirpe e la vergogna”. Uscirà in autunno. Michela ha scoperto che suo nonno era un fascista della prima ora, un convintissimo esponente sin dai primi giorni. Un passato che era rimasto sotto la sabbia. Il libro è davvero un’esplorazione familiare e storica. Michela Marzano prova a mettersi nei panni di questo nonno, senza fare sconti. Tornando indietro a quei giorni, attraverso anche documenti ritrovati nella sua casa in Puglia, fa i conti al tempo stesso con la sua vita personale. Capisce così che questo passaggio generazionale ha influenzato la vita di suo padre prima di lei, poi la sua. È davvero un libro molto potente e come tanti libri che hanno interessato i lettori negli ultimi anni va un po’ all’indietro per parlarci di oggi.

Qual è il rapporto tra editor e autore?

Si parte dal presupposto, accettato anche dai più grandi autori, che un testo è quasi migliorabile all’infinito. Anche il grande autore sa che qualche nota potrebbe essere aggiustata. Il ruolo dell’editor è maieutico e varia tantissimo in base all’autore con cui si trova a lavorare. Si tratta di riuscire a far emergere le doti migliori di un libro e della lingua senza stravolgerla. Questo è tanto più vero negli esordi, ovviamente, quando l’accordatura si sta facendo. Il dialogo con l’editor, questo occhio esterno che ti dà la sua impressione sul testo che sta nascendo, serve anche agli autori più grandi come controcanto. Nel mio ruolo di responsabile, poi, ho anche il dovere di rimanere in ascolto di cosa succede fuori. L’editore deve valutare tutte le potenzialità di un testo, non solo quelle letterarie ed intrinseche, ma anche la possibile accoglienza da parte dei lettori in quel momento.

Quante proposte editoriali riceve una casa editrice come Rizzoli?

Direi decine ogni giorno.

Quanti libri legge un editor?

È difficile dirlo perché non si legge l’intero manoscritto quando non sembra interessante. Posso dire, però, che quando ero scout leggevo almeno due libri a settimana.

Qual è la dote principale che, secondo te, un editor deve avere?

Una certa libertà di giudizio, direi. L’editor deve mettere da parte il suo gusto personale ed essere una sorta di cassa di risonanza per tanti tipi di lettori. Deve accantonare il giudizio affrettato e cercare di entrare nel testo in modo libero. Soprattutto quando lavora per un editore come Rizzoli che parla a pubblici diversi, l’editor non deve porsi mai con sdegno, ma sempre in ascolto.

To know more:

Rizzoli : the publishing house for which Gemma Trevisani works

Italy in their own words: Book (LISTEN TO THE AUDIO)

LISTEN TO THE AUDIO: Gemma Trevisani speaks about the job of the editor